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La valle dei sorrisi – Recensione del film di Paolo Strippoli

By on 19 Settembre 2025 0 219 Views

Un’opera che fonde folk horror, perdita e disagio giovanile, segnando un ritorno potente del cinema di genere italiano alla sua dimensione più inquieta e autentica.

Il cinema di genere in Italia

Nel 1993 esce il segnante Dellamorte Dellamore, considerato l’ultimo colpo di coda dell’epoca d’oro del cinema di genere italiano, già in crisi da almeno un decennio.

Da allora, generi come l’horror hanno trovato sempre meno spazio e fortuna nel nostro Paese: i pochi tentativi di rinascita sono stati perlopiù sporadici e poco riusciti. Del resto, realizzare film di questo tipo richiede un supporto e degli investimenti che, nel panorama produttivo italiano, sono diventati sempre più rari.

Eppure, ogni tanto, qualcuno ci prova davvero… e ci riesce.

È il caso di Paolo Strippoli, già noto per i validi A classic horror story (co-diretto con Roberto De Feo) e Piove, che torna dietro la macchina da presa con La valle dei sorrisi, prodotto da Fandango, Vision Distribution e Nightswim.

La valle dei sorrisi è un progetto dalla gestazione lunga e complessa: frutto di sette anni di scrittura e sviluppo, il film si basa sul soggetto che nel 2019 vinse il Premio Solinas con il titolo L’angelo infelice, scritto da Jacopo Del Giudice insieme a Milo Tissone e allo stesso Strippoli.

Trama

La trama ha per protagonista Sergio Rossetti (Michele Riondino), ex campione di judo divorato dal lutto per la perdita del figlio. L’uomo arriva a Remis, un paesino sperduto tra le Alpi, come supplente di educazione fisica. Qui scopre che il quindicenne Matteo (Giulio Feltri, al suo esordio), ragazzo schivo con un tratto di albinismo, è venerato come un santo dalla comunità: durante cerimonie settimanali abbraccia i compaesani e ne assorbe la sofferenza. Un potere miracoloso messo a disposizione della collettività, che però nasconde un lato sinistro. Dietro l’apparente serenità del villaggio si cela un sistema che trasforma il dolore in controllo, un meccanismo che consola e insieme corrompe, destinato a esplodere quando Sergio decide di intervenire per liberare il ragazzo dal suo destino.

Folk horror nella provincia italiana

Fin dalle prime sequenze siamo immersi in un’atmosfera piacevolmente sinistra e misteriosa: Remis appare come un paese tranquillo, quasi idilliaco, ma piccoli dettagli fuori posto tradiscono la sua perfezione, insinuando un sottile senso di minaccia che cresce scena dopo scena.

Strippoli confeziona una pellicola dal sapore folk che guarda al modello elevated horror internazionale senza però tradire le proprie radici italiane. Anzi, è proprio quel legame con il nostro immaginario rurale e religioso a dare al film credibilità e spessore: si ha davvero l’impressione che un paesino come Remis possa esistere, un luogo sospeso tra devozione e superstizione, dove l’inquietante e l’inspiegabile diventano un “miracolo” una volta riletti forzatamente sotto una rassicurante lente cristiana.

Dal ritualismo sinistro alla Wicker Man, alle vibrazioni irreali e sospese che evocano certi episodi di Ai confini della realtà (come “It’s a Good Life”), La valle dei sorrisi si ritaglia una propria dimensione disturbante e straniante, delineando una vicenda originale e personaggi tragicamente umani e tridimensionali, segnati dal proprio dolore e dai propri traumi.

Dolore, traumi e ambivalenza morale

Sergio, il protagonista, sconvolto dal lutto e pronto a qualunque cosa per sfuggire al malessere che lo stritola, finisce per legarsi al timido Matteo, in cui rivede il figlio scomparso, e che tenterà di aiutare inconsapevole del caos in cui precipiterà la cittadina. Matteo a sua volta è un personaggio sfaccettato, un quindicenne alle prese con tutte le fragilità e i turbamenti tipici della sua età, acuiti dalla sua condizione di “santo locale”, ruolo che gli è stato imposto più che scelto.

È solo un ragazzo, spaesato e sopraffatto da un potere immenso e da una responsabilità che non ha mai desiderato. Tra le pieghe del suo smarrimento, emerge un’attrazione incontrollabile verso un bullo che lo aggredisce, forse proprio per reprimere o mascherare un sentimento speculare.

Matteo è profondamente solo: nessuno instaura con lui un legame autentico, tutti si avvicinano soltanto per sfruttare il suo potere. Le cose cambiano quando incontra Sergio, il primo che sembra davvero interessarsi a lui e a vederlo come una persona.

La valle dei sorrisi è quindi anche e soprattutto un film drammatico che tocca con delicatezza tematiche come la perdita, i rapporti strumentali, i legami padre-figlio e l’incomunicabilità genitoriale, costruendo un crescendo di disagio che si fa via via più soffocante.

Conclusioni

La regia de La valle dei sorrisi si muove con misura e consapevolezza, evitando facili jump scare per costruire un’atmosfera di inquietudine trattenuta e di impalpabile morbosità. L’horror esplode poi in sequenze davvero scioccanti, rese con grande efficacia grazie a eccellenti effetti prostetici e digitali.

Pur con le sue qualità, La valle dei sorrisi non è un film privo di imperfezioni: alcune sequenze rischiano di risultare grottesche, la seconda parte avrebbe beneficiato di qualche elemento horror più marcato, e un climax inizialmente potente viene in parte attenuato da un epilogo dilatato, forse appesantito dalla presenza di troppi finali.

In ogni caso La valle dei sorrisi è in definitiva un film tecnicamente solido sotto ogni punto di vista: dalla regia ispirata e controllata, alla sceneggiatura originale, alla fotografia che valorizza l’ambiguità del paesaggio alpino sia pacifico che sinistro, alla recitazione, che riesce a restituire con autenticità il peso emotivo dei personaggi.

Un coming of age oscuro, stratificato e coraggioso, dove folk-horror e dramma adolescenziale si intrecciano in maniera convincente, lasciando emergere un racconto intenso e inquietante, che rimane sottopelle anche a visione conclusa.

Non ci sono buoni né cattivi in La valle dei sorrisi, solo persone, con il proprio passato, i propri errori e i demoni che si portano dentro. Strippoli non cerca di consolare, né di offrire soluzioni: mette in scena l’ambivalenza dell’animo umano con lucidità, ricordandoci che da quei demoni non si può fuggire, e che forse è proprio il confronto con essi a renderci davvero umani.

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