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Palude di Uduvicio Atanagi – Recensione

By on 10 Gennaio 2024 0 206 Views

Palude è il secondo romanzo dell’autore Uduvicio Atanagi, uscito con Eris Edizioni.

Dopo il meritevole romanzo breve Lucenti, Atanagi si conferma a nostro parere come voce originale e capace del panorama horror italiano.

Lucenti è un libro che si configura come una variazione dell’orrore cosmico di lovecraftiana memoria in una chiave gotico-rurale, un male antichissimo che si annida nella terra spaccata dal sole fra atmosfere sature e soffocanti che richiamano quelle dei film di Pupi Avati.

In un ambiente letterario in cui più o meno tutti, negli ultimi anni, hanno scomodato il solitario di Providence con omaggi (talvolta piuttosto pedanti) o veri e propri furti senz’anima, le entità ancestrali di cui parla Atanagi, nascoste nella polvere e nel fango della provincia toscana, sono rivisti in una maniera finalmente inedita e vincente.

Con Palude, Atanagi prosegue lungo la strada segnata da Lucenti (di cui Palude condivide l’universo narrativo), e ne riprende le tematiche cardine quali la natura come presenza malevola e la pervasività del male in tutte le sue forme.

Ma se Lucenti è giallo e marrone, Palude è verde e nero. Se Lucenti è arido e accecante, Palude è umido e ammuffito.

Palude è un paesino desolante della provincia, il cui nome lascia intuire facilmente la morfologia del luogo: paludi estese e profonde circondano la cittadina, un acquitrino impossibile da bonificare che si espande inesorabile anno dopo anno mangiandosi un metro alla volta i terreni sani con cui entra in contatto.

Aveva l’impressione che tutti quanti stessero arrancando, che il muschio dell’acquitrino avesse invaso ogni angolo della città, fosse entrato dentro alla gente, gli avesse corrotto anche l’anima.”

È a Palude, alla fine degli anni ’90, che si trasferisce Roberto in cerca di lavoro, con i due figliastri a carico, Luisa e Teresio. Roberto è un reietto, un alcolizzato senza un soldo incapace di provvedere ai ragazzi che suo malgrado ha sotto la sua protezione, figli della precedente compagna morta di cancro.

Luisa è un’adolescente arrabbiata e insofferente, che ribolle di tutte le paure e le insicurezze tipiche della sua età, ma anche di un amore quasi materno per il fratellino che tenta con tutte le sue forze di proteggere dall’oscurità del mondo che li circonda.

Teresio sembra un bambino come tanti, legge fumetti, gioca al game boy e frequenta gli amichetti nei boschi di Palude. Ma ha un dono fin dalla nascita: può estirpare il “male” dalle persone. Il ragazzino sciamano pratica dei rituali, quasi degli esorcismi, attraverso i quali succhia fuori dal malato tutta l’oscurità che lo affligge, la ingoia e se ne fa carico. I suoi servizi sono particolarmente richiesti a Palude, dove serpeggia un malessere che ha radici profonde, ma rituale dopo rituale Teresio è sempre più affaticato e si rende conto che tutto il dolore di cui si nutre lo sta facendo ammalare…

“Una massa lurida e viva, simile alla poltiglia di capelli e unghie che si annida dentro gli scarichi, gli era scivolata dentro, l’anima si era girata lasciando comparire la parte più nera

Palude è un tumore purulento che infetta tutto ciò con cui entra in contatto. Una squallida cittadina di provincia, come se ne vedono tante, abitata da un’umanità altrettanto squallida e disperata, gente svuotata dai propri sogni che si trascina un giorno dopo l’altro priva di uno scopo, più morta che viva, incapace di trovare nei propri simili il benché minimo conforto. Ogni cosa è marcia a Palude, la muffa si aggrappa alle case e cresce dentro alle persone senza che queste se ne accorgano.

L’autore restituisce un ritratto realistico, e per questo terribilmente angosciante, di una comunità assolutamente normale nella sua totale disperazione e amoralità. Niente di quello che accade a Palude, fra reietti alcolizzati, spaccio di droga e prostituzione minorile, è da considerarsi strano perché in fin dei conti di Palude, al mondo, ne esistono tante, ovunque.

Palude è essa stessa protagonista della vicenda, capace di irradiare, dai suoi bui acquitrini, un influsso mefitico che corrompe e consuma tutto ciò che tocca. Esiste qualcosa che il Male non abbia toccato e distrutto?

Sono tutti mostri a palude, nessuno escluso, mossi da istinti bestiali o incapaci di cambiare rotta una volta incrociata la strada della perdizione. Atanagi si mostra particolarmente abile nel caratterizzare in maniera terribilmente umana ciascuno dei numerosi protagonisti della vicenda, personaggi essenzialmente negativi con cui però finisci per empatizzare. Perché alla fine sono tutte vittime di un male superiore, persone distrutte dal peso dei propri demoni e delle proprie colpe.

In questa oscurità opprimente e claustrofobica scorgiamo dei rari momenti di luce, rappresentati dall’anima pura di Teresio e dall’affetto familiare che porta un po’ di calore anche nei momenti di maggiore sconforto. Ma anche dall’amicizia che lo lega ai bambini del posto, teneri scorci di un’infanzia che cerca malgrado tutto di essere spensierata.

“Teresio vide la terra e poi l’erba ricoprirsi di stelle, stelle sudice e nere, che brillavano di una luce purulenta simili a un qualche pus scintillante che galleggiava dentro a un liquido fatto di buio

La prosa dell’autore è ricca ed evocativa, lunghissimi periodi che scivolano come un flusso di conoscenza, spesso quella di Teresio, finendo talvolta in dimensioni quasi oniriche.

Uno stile molto personale caratterizzato dalla lunghezza delle frasi e da elementi “grammaticalmente sbagliati” come i dialoghi senza punteggiatura, integrati all’interno della narrazione che diventano un unicum con essa, un intrico di parole e sensazioni dell’io narrante lasciato completamente a briglia sciolta. 

Una lettura che non definiremo “scorrevole” vista la complessità stilistica ma in linea con il contenuto metafisico che si sta trattando.

Quello che forse poteva essere meglio gestita è l’ampiezza del romanzo (500 pagine) a nostro avviso eccessiva per una storia di questo tipo, che finisce a tratti per essere vagamente ridondante e che dà l’impressione di avere un centinaio di pagine di troppo.

Palude non è un horror in senso stretto, non troverete creature tentacolari che escono dalla foresta o sacrifici umani su altari di pietra. Quello che ci viene mostrato, attraverso suggestioni subliminali e apparizioni allegoriche, è un orrore più sottile, qualcosa che è stato e la cui presenza ancora pervade la terra. Intuiamo che è tutto parte di un Male più grande di cui Palude non si libererà mai. L’orrore, quello vero, è sempre la sofferenza che gli uomini riescono a procurare gli uni agli altri per la solo volontà di farlo.

Palude è un libro depressivo che trasuda marciume e disperazione e che lascia addosso un vago senso di malessere, un carosello di nefandezze e cattiveria narrate però senza alcun cinismo ma anzi, con uno occhio rivolto sempre alla speranza, alla bellezza e all’amore, tenui e ostinanti fuochi fatui che brillano nel buio degli acquitrini fangosi.

Palude è acquistabile in libreria, dal sito di Eris Edizioni e sugli store online.

Illustrazioni di Dario Panzeri.

Menzione di demerito per la copertina del libro inspiegabilmente approssimativa che rischia concretamente di compromettere la vendibilità del prodotto. Se già è difficile per un autore underground farsi notare e “convincere” un possibile lettore all’acquisto, sicuramente una cover dall’aspetto così amatoriale non aiuta: fra l’immagine quasi completamente buia e il font di difficile leggibilità non è certo un libro che a colpo risulti d’appeal né che spicchi sugli scaffali di una libreria. Si spera che Uduvicio Atanagi possa contare per le prossime pubblicazioni sul lavoro si un grafico professionista.

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