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Incubi al femminile con il Mara: Recensione di The Dark NightMare

By on 10 Giugno 2025 0 22 Views

Recensione di The Dark NightMare di Kjersti Helen Rasmussen, in arrivo al cinema dall’11 giugno grazie a BIM Distribuzione.

Sinossi

La storia ruota attorno a Mona (Eili Harboe), una giovane donna che almeno in apparenza ha tutto: una relazione stabile con Robby (Herman Tømmeraas), una nuova casa e un futuro pieno di promesse. Ma sotto questa superficie idilliaca, qualcosa inizia a incrinarsi. L’atmosfera nella nuova abitazione è compromessa dai continui litigi dei vicini, mentre le notti di Mona si popolano di incubi spaventosi. La donna comincia a soffrire di disturbi del sonno sempre più preoccupanti, fino a quando una presenza oscura prende forma: è il Mara, antico demone del folklore nordico, che si insinua nei suoi sogni diventando sempre più reale.

Recensione

Una nuova voce nel panorama horror nordico

The Dark NightMare è il nuovo film della regista Kjersti Helen Rasmussen, nota nell’ambiente horror per aver sceneggiato Villmark Asylum, l’ottimo sequel de La foresta misteriosa. Questa volta non solo firma la sceneggiatura, ma siede anche dietro la macchina da presa, confezionando una pellicola inquietante che si inserisce con intelligenza nella recente new wave di horror nord-europei, capaci di attirare l’attenzione del pubblico internazionale sia per le tematiche atipiche, sia per l’approccio solitamente autoriale con cui trattano il genere.

Il mito del Mara: tra folklore e psicologia


Si tratta di una produzione norvegese che attinge al folklore locale trattando il mito del Mara: una creatura maligna che, secondo la tradizione germanica, si posa sul petto dei dormienti provocando incubi e una sensazione di soffocamento. A questa figura si deve l’origine di parole come nightmare in inglese, mareritt in norvegese e cauchemar in francese, tutte con lo stesso significato: “incubo”. Pur variando nell’aspetto e nei poteri da una cultura all’altra, il Mara è sempre associato a un’esperienza disturbante del sonno, simile a quella che oggi chiamiamo paralisi notturna.
Quindi in epoca moderna abbiamo una spiegazione scientifica per il Mara… oppure è il contrario? Forse è proprio il Mara che ci costringe, da secoli, a inventare spiegazioni razionali per poter dormire tranquilli.

Un horror al femminile: il demone come metafora


Il film di Rasmussen adotta un approccio psicologico alla materia e il racconto del Mara viene filtrato attraverso una prospettiva femminile e moderna. Il demone non è un semplice “mostro”, ma la materializzazione delle pressioni sociali, del terrore dell’intimità, del cambiamento e del controllo sul corpo femminile.
Mona si trova schiacciata tra aspettative spesso contraddittorie: realizzazione professionale, desiderio (o imposizione?) di maternità e la pressione di avere una vita perfetta.

Intimità, corpo e tabù


È interessante notare come lo sguardo femminile della regista/sceneggiatrice si soffermi su tematiche e dettagli spesso evitati dal cinema mainstream, affrontando argomenti delicati come il mestruo (ancora oggi un tabù sullo schermo) o l’aborto, questione purtroppo sempre attuale.
Nonostante le pressioni quasi tossiche del compagno, che desidera ardentemente mettere su famiglia, Mona non ha alcuna intenzione di diventare madre: si oppone al fidanzato, si oppone al demone, e si oppone persino al ginecologo che cerca di convincerla a cambiare idea.

In lotta per la propria identità


Il personaggio di Mona è quello di una donna che lotta per emergere, per conservare la propria identità e autodeterminazione in un mondo, reale o onirico, che cerca costantemente di controllarla. La sua battaglia contro il Mara diventa così anche una lotta contro le imposizioni esterne, i ruoli predefiniti e le paure interiori.
L’interpretazione di Eili Harboe, già protagonista dell’acclamato Thelma, è perfettamente calibrata: vulnerabile ma mai fragile, intensa ma sempre misurata, capace di trasmettere con autenticità la tensione interiore del personaggio.

Recensione di The Dark Nightmare: Conclusioni


The Dark NightMare non mira a rivoluzionare il genere, pur muovendosi con coerenza tra suggestioni folkloriche e critica sociale. Per raggiungere i momenti più disturbanti, quei picchi di crudeltà tipici del cinema nord-europeo, occorre attendere il terzo atto.
In alcuni passaggi, è inevitabile pensare a Nightmare – Dal profondo della notte, ma anche al cinema di Roman Polanski, in particolare L’inquilino del terzo piano e Rosemary’s Baby, per il modo in cui l’inquietudine si insinua nell’apparente normalità, per i dettagli fuori posto, per la psicosi in cui precipita una protagonista sempre più isolata.
Il film di Kjersti Helen Rasmussen si impone comunque come un’opera personale, più vicina al dramma psicologico che all’horror commerciale. La regista costruisce un racconto stratificato e inquieto, dove mitologia, scienza e paure profondamente femminili si intrecciano, dando vita a un incubo che si nutre delle fragilità più intime e più reali.

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